SCUOLA DI FRANCOFORTE: HORKHEIMER, ADORNO, MARCUSE E BENJAMIN

HORKHEIMER E ADORNO

Nella Dialettica dell'illuminismo - una tra le opere fondamentali della Scuola di Francoforte - Horkheimer e Adorno esaminano la cultura occidentale evidenziando come essa sia caratterizzata dal dominio della ragione strumentale, interessata solo ai mezzi dell'azione, e non anche ai fini. Tale forma di razionalità - a partire da Omero e dal personaggio di Ulisse - ha operato nell'illusione di controllare la natura, non raggiungendo altro esito se non quello di alimentare un progressivo dominio dell'uomo su se stesso e sugli altri uomini, incatenati in un sistema produttivo alienante e frustrante. Da questo punto di vista i totalitarismi del Novecento hanno reso ancora più tragica una condizione iscritta nella stessa storia dell'Occidente; condizione che spetta alla filosofia - intesa come pensiero critico e dialetticamente "negativo" - evidenziare e criticare. 


                                                Horkheimer (1934)


Di notevole importanza, nell'indagine sul "totalitarismo" della società con-temporanea, risulta la denuncia mossa da Adorno all' «industria culturale», cioè all'apparato dei mezzi di comunicazione di massa considerati gli strumenti privilegiati, utilizzati dal sistema per manipolare le coscienze e perseguire l'allineamento" dell'individuo.


                                            Adorno (1963)


Un rimedio contro l'ideologia di questo modello oppressivo e conformistico viene, secondo Adorno, dall'arte, che offre una possibilità di sfuggire ai meccanismi del mondo amministrato e di denunciarne la crudele inumanità.

Adorno si riferisce in particolare a tutti quei movimenti d'avanguardia che, nel loro linguaggio innovativo ed enigmatico, mettono in discussione i canoni estetici per denunciare la «negatività disarmonica del mondo» e dare voce all'uomo frustrato e asservito della società moderna.


MARCUSE E BENJAMIN


La prospettiva critica promossa da Adorno viene condivisa da Marcuse, il quale rileva come, nella nostra civiltà industriale, si registri un eccesso di repressione dovuto proprio alla particolare modalità produttiva che la caratterizza. La società incentrata sul lavoro e sullo sfruttamento ha infatti ridotto l'uomo a un «essere-per-la-produzione», lo ha cioè asservito al «principio della prestazione», facendogli impiegare tutte le energie psicofisiche nel lavoro, anziché nel piacere e nella ricerca della felicità, che sono gli obiettivi naturali dell'essere umano. La possibilità di uscire da una tale condizione risiede, per Marcuse come già per Adorno, innanzitutto nell'arte, che delinea una dimensione utopica in grado di proiettare l'uomo oltre il desolante panorama del presente, già descritto da Weber come una «gabbia di acciaio». Le altre due vie di liberazione indicate da Marcuse consistono nel recupero di una sessualità autentica e non "controllata", e nel "Grande rifiuto», cioè l'opposizione al sistema capitalistico da parte di nuovi soggetti rivoluzionari (ad esempio gli emarginati e gli stranieri).

Marcuse (1955)

Vicino alle posizioni della Scuola di Francoforte (anche se non entra mai a farne parte organicamente) è anche Walter Beniamin, filosofo e saggista berlinese, per il quale la filosofia deve essere soprattutto denuncia delle contraddizioni del presente e rivelazione del bisogno di felicità ed emancipazione dell'uomo. Il filosofo tedesco manifesta una visione tragica dell'esistenza in cui coniuga l'esigenza marxista di sovvertimento della realtà esistente con il sentimento messianico tipico dell'ebraismo: nella sua concezione, infatti, l'avvento di una società migliore non ha garanzie né necessità; è una speranza racchiusa nelle macerie di un passato che bisogna interpretare e capire per trarne un'indicazione per l'azione futura. In un saggio fondamentale per l'estetica del Novecento, L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica, Benjamin opera una demitizzazione del prodotto artistico, che perde la sua «aura» sacrale per diventare accessibile alle masse. 




 Benjamin 


Il filosofo intende così prendere le distanze da una concezione elitaria e classista dell'opera d'arte, per sottolineare la sua potenzialità rivoluzionaria: risultando fruibile da tutti, infatti, l'arte diffonde una nuova possibilità di contestazione dell'ordine esistente. E solo attraverso la distruzione violenta di quest'ordine, ormai diventato inumano, che per Benjamin si può aprire un varco verso la felicità.


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